Quamquam ridentem dicere
verum quid vetat?

Che cosa vieta di dire il vero, magari anche ridendo? Lo scrive Orazio nella sua prima Satira, e amava ripeterlo mio padre che, fra le molte doti, aveva quella di amare le battute e le storielle, nonché di saperle dire bene. Anche a me piacciono le storielle e le battute (non sta a me dire se le racconto bene) e debbo dire che anche dal punto di vista professionale il mio amore per l'umorismo ha avuto una grande importanza, sia nella pratica dell'insegnamento sia nella pratica della psicoterapia.

Freud ha scritto un saggio sul motto di spirito, cercando di spiegarne il funzionamento e le funzioni: l'umorismo è un meccanismo molto raffinato di difesa dell'integrità dell'io e tende ad affermare il principio di piacere nella continua elaborazione che la mente opera per rappresentarsi la realtà in modo coerente, collocando sensazioni e impulsi in una "narrazione" retta dalla capacità di ricordare e dalla tensione a progettare… che è poi la caratteristica specifica del nostro essere umani.

Mio padre, come del resto tutti i miei ascendenti, era di Cremona, e io stesso per molti versi mi sento cremonese: e non per ragioni di "sangue" o di "razza", sia ben chiaro in questo periodo di vasto e miserando incattivimento su questi temi, ma per esser cresciuto in famiglia cremonese e fino a otto anni a Cremona (mi è venuto l'impulso a scrivere "all'ombra del Torrazzo"), con genitori nonni e parentado che parlavano fra loro in cremonese pur rivolgendosi a me in italiano, e mi cantavano ninne nanne e filastrocche nel loro dialetto, che io tuttora parlo correntemente. Poi, quando avevo otto anni, la mia famiglia venne a Modena e da allora sono pian piano diventato modenese: ma la mia Heimat, se ne ho una e una sola, è Cremona! E proprio a Cremona sentii mio padre rievocare una barzelletta "politica" del ventennio…

Mussolini incontra D'Annunzio tra la folla, davanti allo schieramento dei gerarchi, e gli dice: "Ti saluto, alato fante" (il riferimento è al volo di D'Annunzio su Vienna).
D'Annunzio risponde: " Ed io saluto te, o lesto fante" (Mussolini era stato bersagliere) e prosegue, indicando i gerarchi fascisti (tutti ex combattenti della Grande Guerra): "Ma anche loro fur fanti."


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