Perché parresie
Marzo 2023.
Come sono stato un anno senza scrivere nulla sul sito, così per un anno non ho scritto nulla su questo blog, sostanzialmente per gli stessi motivi. Ora però ritorno con un articolo della sezione Cercando di capire (si può leggerlo cliccando qui)
Visto poi che, mi pare, i contenuti di un blog sono molto legati all'immediatezza del riferimento a qualche evento, ho eliminato tutto quel che avevo scritto (poco in verità, qualche riflessione di quando in quando) e riparto da zero. Mantengo soltanto la pagina di apertura, qui di seguito.
Perché parresie
Se voglio capire debbo sforzarmi di non pormi censure, almeno non verso me stesso: nei confronti degli altri sì, per svariati motivi, ma nei confronti di me stesso proprio non credo, e di questo diremo in seguito. Qui voglio intanto chiarire che la parola mi sembra bella per come suona, per quel che significa e per una divertente apertura all'equivoco etimologico che mi ha fatto sorridere e mi ha fatto tornare alla mente una baggianata che dissi da ragazzo.
Parresia... il suono non ha bisogno di commenti e peraltro può non piacere a tutti, anche se stento a credere che si possa restare indifferenti a quella vibrazione della lingua nella doppia erre, dopo l'esplosione sonora della vocale a che travolge l'occlusione sorda della p iniziale e si distende nel ronzio dolce della esse sonora e nella quiete della progressiva apertura delle vocali i ed a. Osservo che la doppia erre per me è ostacolo invalicabile e quindi non posso provare appieno il piacere di pronunciare questa meravigliosa parola, come invece posso fare per altre belle parole. Osservo che la doppia erre per me è ostacolo invalicabile e quindi non posso provare il piacere di pronunciare questa meravigliosa parola, come invece posso fare per altre altrettanto belle parole: visto poi che siamo in tema di parresia, la prima parola che, pensando al piacere anche a me consentito di pronunciarla, mi è venuta in mente è stata Azazello, il diavolo del romanzo "Il maestro e Margherita" di Bulgakov.
Quel che significa è ben definito in Wikipedia: la parresìa - dal greco παρρησία - composto di pan (tutto) e rhema (atto del dire) - nel significato letterale è non solo la "libertà di dire tutto" ma anche la franchezza nell'esprimersi, dire ciò che si ritiene vero e, in certi casi, un'incontrollata e smodata propensione a parlare.
Nei suoi due significati primari è proprio quello che gli psicoanalisti propongono come regola fondamentale dell'analisi: che se è, come è, una ricerca di autenticità, allora non può certo rinunciare alla meravigliosa avventura di riconoscere dignità di oggetto di ricerca a tutto ciò che nella psiche umana germoglia fiorisce e, perché no?, marcisce. Homo sum, humani nihil a me alienum puto, "sono un uomo, nulla di ciò che è umano ritengo a me estraneo" diceva già Terenzio duemila anni fa, in qualche modo evocando il motto di Socrate "conosci te stesso". L'autenticità e la libertà sono inscindibili dalla consapevolezza, non perché ciò che ci si muove dentro vada fatto ma perché non possiamo progettare la nostra vita se non attraverso la consapevolezza. E in fondo la frase di Gesù "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" può proprio essere letta (non solo in una prospettiva religiosa, non solo in una prospettiva laica) come apertura dialettica ad una visione della libertà in continua costruzione e ricerca. Un valore vettoriale, insomma, più che un patrimonio di certezze.
L'accenno all'equivoco etimologico viene dal fatto che, quando lessi per la prima volta la parola parresia, mi venne in mente per vaga assonanza la frase di Eraclito (così atrocemente abusata) panta rei, che proprio non ha nulla a che fare con la parresia anche se mi fece balenare la fioca fantasia di un ulteriore abuso ai danni di quella frase così profonda. E qui mi torna alla mente un ricordo di tempi lontani, quando per fare il sapientone con una ragazza che mi piaceva azzardai un'etimologia per la parola etèra, che nella Grecia antica designava una figura femminile paragonabile alla geisha, con un ruolo sociale dunque fra la cortigiana la dama di compagnia e, per certi aspetti, la prostituta. Dissi che questa figura si chiamava etèra perché il termine greco èteros (al femminile etèra) significava altro, quindi indicava una donna altra, nel senso di alternativa… e feci un figurone, sul momento, ma avevo fatto i conti senza l'oste, che in questo caso era il padre della fanciulla, professore di greco e latino: l'oste ridicolizzò la mia etimologia chiarendo che etèra derivava, deriva e deriverà per sempre dalla parola hetàiros (femminile hetàira) che significava compagno, amico, amante.
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