Cercando di capire
Genitori e figli, chi educa chi
Abbiamo avuto a cena, alcune sere fa, mio figlio maggiore, la sua compagna e i loro due figli: è stata una bella serata, per il buon cibo che sono riuscito a preparare e che è stato vistosamente apprezzato (fino alla performance di mia nipote che, guardandoci con occhi furbetti, leccava il piatto dopo la terza porzione di risotto), per la capacità che abbiamo avuto di parlare rispettosamente uno alla volta (a volte è già difficile in due, figuriamoci in sei), per il piacere della buona conversazione… Soprattutto una cosa mi ha colpito, e mi gira in testa da quando ci siamo salutati: abbiamo parlato di argomenti vari che andavano dalla bicicletta con pedalata assistita all'aiuto che la psicoanalisi può dare nel cercare di dare un senso alla vita, dai rapporti tra fratelli alla lotta contro la mercificazione dell'arte di strada (nella fattispecie le vicende della mostra Genius Bononiae e dello sgombero di XM24), dalle letture di fantascienza da suggerire a mio nipote, liceale curioso, fino al dibattito sull'eutanasia. Ebbene, a parte un momento di complicità musicale intergenerazionale a due davanti alla tastiera del pianoforte, siamo sempre stati tutti assieme, tutti attenti e, ognuno per le sue competenze esperienze e sensibilità, partecipi; nessuno ha usato lo sbarramento delle "cose da grandi" per escludere o per escludersi, nessuno si è isolato nei social o nei giochini. Il livello dei discorsi era aperto sia ai contributi complessi di chi ha cultura ed esperienza, sia alle curiosità e opinioni anche ingenue di chi già sa di dover trovare la sua via pur tenendo conto anche delle mappe tracciate da altri. Parlavamo di cose talvolta molto complesse e lo sforzo che noi adulti facevamo di tenere un livello di discorso rispettoso delle conoscenze e della mentalità dei più giovani interlocutori era ricambiato con interesse e partecipazione da parte loro: sapevano che era anche nostro desiderio condividere con loro lo scambio di idee, che quello che dicevano serviva anche a noi.
Ripensandoci mi viene in mente un passo di Infanzia e società (1950) di Erik Erikson: l'autore, psicoanalista e cultore di studi antropologici, descrive una situazione in cui un genitore (in una tribù di indiani Lakota presso la quale compiva ricerche) chiede a una bambina di fare qualcosa al limite delle sue possibilità e NON interviene ad aiutarla nella fatica di svolgere il difficile compito. Commentando l'episodio, Erikson afferma che il genitore sapeva che la bambina poteva fare ciò che le si chiedeva, e la bambina sapeva che, se le veniva chiesto, era perché era in grado di farlo.
Debbo precisare che non è accaduto per caso, anche se la serata è stata particolarmente felice: la loro scelta educativa è all'insegna di una pedagogia libertaria che non solo è alla base della loro vita familiare e del loro stile genitoriale, ma li ha portati ad unirsi con altre famiglie per organizzare una scuola, appunto, libertaria. Con grande impegno pratico e burocratico e materiale, ma con l'apertura di possibilità altrimenti inimmaginabili sul piano formativo: perché se è vero che i figli so' pezzi 'e core, allora è vero che la cosa migliore che possiamo fare anche per noi stessi è allevare dei figli liberi nello spirito… cioè liberi di pensare e sentire diversamente da noi, fare scelte diverse dalle nostre, essere esemplari originali di se stessi e non copie di noi stessi… che poi di solito le copie vengono male! Se crediamo, con Socrate, che la vita trovi il suo senso nella ricerca, allora dovremo chiarire (innanzitutto a noi stessi) che l'oggetto vero di questa ricerca non esiste finché non viene trovato, nessuno può darcelo già confezionato e sostanzialmente consiste nella ricerca stessa come processo continuo: conosci te stesso, appunto, in un processo lungo quanto la vita stessa studiato e splendidamente rappresentato da Jung nei suoi lavori sull'individuazione.
Quando mi avventuro in queste riflessioni che hanno a che fare con i miei figli diventati o sulla via di diventare a loro volta genitori, mi vien da pensare a me quando loro erano bambini e poi adolescenti… e ho la tenera sensazione di essere stato in fondo un genitore abbastanza buono e che loro mi ricambino con l'essere migliori di quanto io sia stato. Chissà, forse mi è accaduto qualcosa ben espresso da Einstein quando diceva che non insegnava nulla ai suoi studenti ma cercava di garantire le condizioni in cui potessero apprendere. A ben guardare, che senso ha che Socrate, una delle menti più brillanti della storia umana, dicesse di non sapere ma di cercare e andasse a tirare per la manica (si fa per dire, visti gli abiti di allora) i suoi concittadini per indurli a cercare insieme? È sempre la stessa prospettiva pedagogica nella quale solo cercando insieme si trova ciò che vale, e anche nel mio lavoro trovo fondamentale far evolvere il rapporto dalla richiesta di intervento "tecnico" rivolta a chi è supposto sapere (l'analista) alla condivisione di una ricerca di senso: trovo esemplare il pensiero di Bion che afferma essere il paziente il nostro migliore alleato, concetto che senza forzature può essere esteso a situazioni diverse nelle quali il figlio venga percepito come il miglior alleato del genitore e l'alunno il miglior alleato del maestro.
Il complesso di Edipo, modello di comprensione escogitato da Freud e Jung per rendere meglio rappresentabile la complessa e contraddittoria trama di affetti che accendono e muovono lo sviluppo psichico nell'infanzia ripresentandosi poi nell'adolescenza, non è un fenomeno individuale bensì relazionale, nel senso che coinvolge e turba non solo i figli ma anche i genitori. Le strutture della società e della famiglia sono molto cambiate dai tempi di Freud e Jung, tuttavia possiamo ancora dire che di solito gli aspetti più vistosi dell'Edipo sono la rivalità con il genitore dello stesso sesso e la ricerca di alleanze con il genitore di sesso opposto, in un gioco di proiezioni e identificazioni che orienta la definizione e l'assunzione dei ruoli sessuali.
I bambini e gli adolescenti non sono, per definizione, maturi e quindi non sono in grado di difendersi dalla potenza delle forze che agiscono in loro: tocca ai genitori il compito di elaborare (digerire) le spinte aggressive restituendole pensate e pensabili, trasformandole da distruttive a maturative, rendendo baci per offese direbbe Roberto Vecchioni. Ma se i genitori cadono nella trappola di vivere le situazioni di rivalità su un piano analogo a quello in cui le vivono i figli, le spinte aggressive di rivalità non saranno facilmente elaborate e rischieranno di inquinare i futuri rapporti fissandosi come schemi di relazione a cui si rischierà sempre di regredire. Che i figli adolescenti siano oppositivi scontrosi e litigiosi con i genitori fa parte della fatica di crescere, ma che lo stile dei genitori sia ricambiarli con la stessa moneta è spesso parte del disagio di non essere ancora cresciuti.
Mi è sempre piaciuta una canzone di Crosby, Stills, Nash e Young (Teach your Children, Insegna ai tuoi figli) che tratta proprio di questo, di un educarsi reciprocamente seguendo ritmi e tempi di trasformazione che, nel rapporto tra chi è arrivato dopo e chi se ne andrà prima, mostra la condivisione di una ricerca di senso in cui ognuno educa l'altro (teach your children… teach your parents), i figli son chiamati ad educare i genitori affinché, trovando un senso alle cose della vita, riescano a pensare alla propria possibile morte: they seek the truth before they can die (cercano la verità prima di poter morire).
Insegna ai tuoi figli (Teach your Children, qui il testo in inglese)
Tu che sei sulla strada
devi avere un codice secondo il quale vivere.
E allora diventa te stesso
perché il passato è solo un addio.
Insegna bene ai tuoi figli
che l'inferno del loro padre piano piano è passato
E nutrili dei tuoi sogni,
quello che scelgono è quello da cui capirai.
Non chiedere mai loro il perché,
se te lo dicessero piangeresti
quindi limitati a guardarli e sospirare e sappi che ti amano.
E voi in tenera età
non potete sapere le paure con cui son cresciuti i vostri vecchi
quindi vi prego aiutateli con la vostra giovinezza,
essi cercano la verità prima di poter morire.
Insegnate bene ai vostri genitori
che l'inferno dei loro figli piano piano passerà
E nutriteli dei vostri sogni, quello che scelgono è quello da cui capirete.
Non chiedete mai loro il perché, se ve lo dicessero piangereste
quindi limitatevi a guardarli e sospirare e sappiate che vi amano.
Mi pare molto efficace ed elegante il movimento simmetrico di significati fra le due strofe, che mi sembra ben rappresentare il concetto, che amo ripetere, del diventare, invecchiando, figli dei propri figli. L'è 'na róda, diceva la saggezza antica.
agosto 2019